lunedì 16 febbraio 2015

L'ILLEGALITÀ BERGOGLIANA (di Piero Nicola)

  Come definire chi, disponendo della potestà, ignora i regolamenti del suo ufficio, oppure li viola? Egli è un infedele da destituire e condannare secondo il verdetto del tribunale competente.
   Quando costui sia il capo dell'istituzione, il suo comportamento è semplicemente di usurpatore  dispotico. Quando egli figuri essere niente meno che il rappresentante di Dio in terra e ne calpesti la Legge in modo che qualunque intelletto umano lo possa costatare, nessuno può dargli credito, tutti devono abbandonarlo.
  Importa che le violazioni siano gravi? Certamente. Tuttavia, per il momento, non intendo,  tornare su quelle di Bergoglio, che sopratutto egli ricevette come in eredità dai suoi predecessori, e che in qualche modo essi intesero negare o giustificare.
  Considero l'ultima infrazione minima commessa, riportata dalle cronache, o piuttosto il non lieve disdegno da lui mostrato per le consuetudini che stanno alla base della norma indispensabile per il governo di qualsiasi istituzione o società.
  Vigeva l'uso di elevare al cardinalato gli arcivescovi e i patriarchi di alcune importanti sedi vescovili, tra le quali Venezia e Torino. Ma, per la seconda volta, in occasione della nomina di cardinali, monsignor Francesco Moraglia, da due anni patriarca di Venezia, non riceve la berretta rossa. E neppure l'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia viene ammesso nel Collegio dei porporati. Essi non fanno parte dei diciannove nuovi eletti, i cui nomi sono stati resi noti da Bergoglio in persona. L'elenco comprende due Monsignori del Veneto: Pietro Parolin vicentino segretario di stato nella Santa Sede e Loris Capovilla veneziano, ex segretario di Giovanni XXIII.
  Si capisce che Bergoglio aveva la facoltà di cambiare la consuetudine, privilegiando gli uomini ritenuti più idonei e meritevoli. Ma aveva anche il dovere di riformare i criteri consolidati o di spiegare le sue inedite discriminazioni. Diversamente, egli non solo ha infranto un uso e il criterio naturale delle carriere, ha bensì offeso il discriminato non dando alcuna soddisfazione, sia pure diplomatica. Con ciò ha commesso un evidente peccato contro la giustizia e contro la carità.
  Riguardo all'implicita punizione e al suo motivo non c'è alcun mistero, così come è chiaro l'indirizzo intrapreso da Bergoglio.
  La storia del patriarca Moraglia e i suoi attuali atteggiamenti lo rendono uomo che va controcorrente rispetto al fiume venuto a scorrere invadente dall'Argentina. Francesco Moraglia, genovese, fu presbitero sotto l'arcivescovo cardinale Giuseppe Siri; poi insegnate di teologia dogmatica e sacramentaria, docente di cristologia e antropologia. Essendo presidente della Commissione diocesana per i problemi pastorali, criticò i movimenti religiosi cattolici alternativi e si mostrò avverso alla massoneria. Consacrato dal cardinale Tarcisio Bertone (recentemente, di fatto, silurato nel posto che occupava nella governo della Sede di Pietro) venne destinato alla diocesi di La Spezia, dove contrastò il riconoscimento delle coppie di fatto voluto dal Comune spezzino, e fu contrario al registro dei testamenti biologici. Nel 2012, regnante Benedetto XVI, prese possesso della diocesi veneziana e, tra le altre cariche, ricopre quella di presidente della Conferenza episcopale triveneta. In una notevole lettera pastorale espresse concetti del tutto tradizionali sulla famiglia, sull'educazione dei giovani e sulla  dottrina sociale della Chiesa.
  Naturalmente non sono mancati i suoi assensi alla teologia del Vaticano II. Il suo atteggiamento verso gli immigrati, se è incentrato sulla loro integrazione nella società italiana, lascia troppo a desiderare quanto all'opera di conversione delle anime. Inoltre egli ha compiaciuto certi dettami bergogliani circa l'azione pastorale.
  Tutto ciò non basta affatto a renderlo gradito. Egli resta vicino a Bertone e a Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale italiana e arcivescovo di Genova. Entrambi notoriamente distanti dalle vedute moderniste del Gran Capo.
  Quest'ultimo ha già operato l'epurazione dei prelati scomodi, segnatamente del cardinale arcivescovo statunitense R. L. Burke, promotore della reintroduzione della Messa di San Pio V, oppositore, nel Sinodo sulla famiglia (che proseguirà nel prossimo autunno), alle aperture verso la comunione data ai divorziati risposati, ecc. Lo scorso anno gli è stato tolto il posto di prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica nonché quello di presidente della Corte di Cassazione dello Stato vaticano, destinandolo alla carica, quasi soltanto onorifica, di patrono del Sovrano Ordine di Malta.
  Ed ecco che questa rivoluzione ci riporta al punto cruciale dottrinale, allo sviluppo degli errori dogmatici già in atto nel magistero, alla violazione della Legge di Dio, al terribile tradimento del Signore.


Piero Nicola

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