Come definire chi, disponendo della potestà,
ignora i regolamenti del suo ufficio, oppure li viola? Egli è un infedele da
destituire e condannare secondo il verdetto del tribunale competente.
Quando costui sia il capo dell'istituzione,
il suo comportamento è semplicemente di usurpatore dispotico. Quando egli figuri essere niente
meno che il rappresentante di Dio in terra e ne calpesti la Legge in modo che
qualunque intelletto umano lo possa costatare, nessuno può dargli credito,
tutti devono abbandonarlo.
Importa che le violazioni siano gravi?
Certamente. Tuttavia, per il momento, non intendo, tornare su quelle di Bergoglio, che sopratutto
egli ricevette come in eredità dai suoi predecessori, e che in qualche modo
essi intesero negare o giustificare.
Considero l'ultima infrazione minima
commessa, riportata dalle cronache, o piuttosto il non lieve disdegno da lui
mostrato per le consuetudini che stanno alla base della norma indispensabile
per il governo di qualsiasi istituzione o società.
Vigeva l'uso di elevare al cardinalato gli
arcivescovi e i patriarchi di alcune importanti sedi vescovili, tra le quali
Venezia e Torino. Ma, per la seconda volta, in occasione della nomina di
cardinali, monsignor Francesco Moraglia, da due anni patriarca di Venezia, non
riceve la berretta rossa. E neppure l'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia
viene ammesso nel Collegio dei porporati. Essi non fanno parte dei diciannove
nuovi eletti, i cui nomi sono stati resi noti da Bergoglio in persona. L'elenco
comprende due Monsignori del Veneto: Pietro Parolin vicentino segretario di
stato nella Santa Sede e Loris Capovilla veneziano, ex segretario di Giovanni
XXIII.
Si capisce che Bergoglio aveva la facoltà di
cambiare la consuetudine, privilegiando gli uomini ritenuti più idonei e
meritevoli. Ma aveva anche il dovere di riformare i criteri consolidati o di
spiegare le sue inedite discriminazioni. Diversamente, egli non solo ha
infranto un uso e il criterio naturale delle carriere, ha bensì offeso il
discriminato non dando alcuna soddisfazione, sia pure diplomatica. Con ciò ha
commesso un evidente peccato contro la giustizia e contro la carità.
Riguardo all'implicita punizione e al suo
motivo non c'è alcun mistero, così come è chiaro l'indirizzo intrapreso da
Bergoglio.
La storia del patriarca Moraglia e i suoi
attuali atteggiamenti lo rendono uomo che va controcorrente rispetto al fiume
venuto a scorrere invadente dall'Argentina. Francesco Moraglia, genovese, fu
presbitero sotto l'arcivescovo cardinale Giuseppe Siri; poi insegnate di
teologia dogmatica e sacramentaria, docente di cristologia e antropologia. Essendo
presidente della Commissione diocesana per i problemi pastorali, criticò i
movimenti religiosi cattolici alternativi e si mostrò avverso alla massoneria.
Consacrato dal cardinale Tarcisio Bertone (recentemente, di fatto, silurato nel
posto che occupava nella governo della Sede di Pietro) venne destinato alla
diocesi di La Spezia, dove contrastò il riconoscimento delle coppie di fatto voluto
dal Comune spezzino, e fu contrario al registro dei testamenti biologici. Nel
2012, regnante Benedetto XVI, prese possesso della diocesi veneziana e, tra le
altre cariche, ricopre quella di presidente della Conferenza episcopale
triveneta. In una notevole lettera pastorale espresse concetti del tutto
tradizionali sulla famiglia, sull'educazione dei giovani e sulla dottrina sociale della Chiesa.
Naturalmente non sono mancati i suoi assensi
alla teologia del Vaticano II. Il suo atteggiamento verso gli immigrati, se è
incentrato sulla loro integrazione nella società italiana, lascia troppo a
desiderare quanto all'opera di conversione delle anime. Inoltre egli ha
compiaciuto certi dettami bergogliani circa l'azione pastorale.
Tutto ciò non basta affatto a renderlo
gradito. Egli resta vicino a Bertone e a Bagnasco, presidente della Conferenza
Episcopale italiana e arcivescovo di Genova. Entrambi notoriamente distanti
dalle vedute moderniste del Gran Capo.
Quest'ultimo ha già operato l'epurazione dei
prelati scomodi, segnatamente del cardinale arcivescovo statunitense R. L.
Burke, promotore della reintroduzione della Messa di San Pio V, oppositore, nel
Sinodo sulla famiglia (che proseguirà nel prossimo autunno), alle aperture
verso la comunione data ai divorziati risposati, ecc. Lo scorso anno gli è
stato tolto il posto di prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura
apostolica nonché quello di presidente della Corte di Cassazione dello Stato
vaticano, destinandolo alla carica, quasi soltanto onorifica, di patrono del
Sovrano Ordine di Malta.
Ed ecco che questa rivoluzione ci riporta al
punto cruciale dottrinale, allo sviluppo degli errori dogmatici già in atto nel
magistero, alla violazione della Legge di Dio, al terribile tradimento del
Signore.
Piero
Nicola
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