Fra gli addetti allo studio della politologia
comincia a circolare l'idea che l'estinzione della falsa destra sia stata un
evento fortunato e fausto: l'allontanamento di sagome, che gettavano l'ombra di
una invadente e tossica insignificanza sulla cultura dell'elettorato
benpensante.
Si
chiude una fase storica segnata dallo squilibrio esistente tra la nobiltà della
tradizione italiana e la squallida lettura farfugliata o strillata dagli
esponenti di una improbabile e surrettizia destra.
Nel
solco, che finalmente separa il comizio degli scappati da casa dal
ragionamento intorno alla civiltà,
fioriscono le case editrici sulle quali era seduta la
soffocante/insofferente albagia delle menti partitiche in corsa sfrenata verso
la comica finale.
Nell'ingente
catalogo dell'infaticabile Marco Solfanelli editore in Chieti, ad esempio,
appare in questi giorni il saggio di Riccardo Rosati, Museologia e tradizione, un'appassionante rivendicazione del primato dell'arte italiana,
sostenuta da una competenza rara e
capace di sfidare il pensiero conforme al dominio esercitato dal Gruppo
Bilderberg e dalla Trilateral.
Rosati
è uno studioso serio e un brillante comunicatore. Non ha peli sulla lingua.
Dichiara orgogliosamente l'appartenenza a una cultura di destra, sfiorata ma non trascinata nel
germanico, mortifero gorgo dell'evolismo. Mantiene infatti la distanza di
sicurezza dalla destra di esoterico conio e dalle orgogliose brume discendenti
dai musei di Francia e Inghilterra. Promuove l'ammirazione dello splendore
insuperato dell'arte e della cultura italiana. Rivendica l'originalità e la
magnificenza dei mecenati e dei collezionisti, ai quali si deve la
conservazione e l'esposizione del più ricco patrimonio artistico esistente al
mondo. Getta
il ridicolo sugli incensati protagonisti della saga progressista: "Mentre
il sindaco Marino pensa di salvare la città andando in bicicletta e
pedonalizzando il Centro, le nostre stupende ville storiche sono ormai un
bivacco per i rom e discariche a cielo aperto". E osa nominare
l'innominabile per eccellenza: "Singolare che in tutto questo scempio
si sia salvata la dimora che è stata anche di Mussolini: che sia forse un
segnale per capire meglio la nostra storia, attraverso la salvaguardia della
memoria?"
La
orgogliosa lettura del patrimonio artistico italiano proposta da Rosati è
nutrita dalla volontà di rovesciare la tendenza nazionale all'autocalunnia e
all'autodemolizione. E' intesa, ad esempio, a rammentare l'obbligo di giudicare
il turismo in base alla qualità, un criterio in base al quale è possibile
contestare il culto del Louvre, "museo dal passato oscuro e
discutibile, diventato il più importante museo al mondo, solo perché è quello
maggiormente visitato". Opinione che penalizza la superiore
magnificenza dei Musei Vaticani e della Galleria degli Uffizi.
In filigrana nelle
pagine di Rosati si legge un progetto finalizzato a sollevare la cultura della
destra dalla depressione in cui è stata indirizzata da una classe politica vanitosa,
insipiente e disarmata: "la sinistra italiana ha impiegato quasi
sessanta anni per ridicolizzare e banalizzare l'unicità della nostra cultura,
far sapere dunque quanto sia stata al contrario considerata grande l'Italia nei
secoli renderebbe vano questo autentico lavoro di demolizione
culturale".
L'attività
dello scrittore Rosati, di conseguenza, è finalizzata alla confutazione dei benpensanti
del progresso, attivisti della denigrazione, "intenti a
descrivere una Italia provinciale rannicchiata su di un passato ingombrante"
e a promuovere la stupida "venerazione per tutto quello che è
americano".
Per
cancellare la bugiarda, masochistica calunnia ai danni della cultura nazionale
l'autore "dimostra come non solo la Chiesa Cattolica ci abbia regalato
Giotto, Michelangelo e Bernini, ma anche un vastissimo proveniente da ogni
parte del mondo".
Di qui l'auspicio che
"questa cultura progressista, tanto nichilista quanto bugiarda, la
quale si nutre della continua sottovalutazione della nostra nazione, venga
sconfitta per sempre. ... ci auguriamo prima o poi di vedere un Paese libero da
coloro che hanno di fatto abolito la parola Patria e di poterci finalmente
vantare della nostra sterminata ricchezza culturale, senza venire considerati
dei reazionari".
Il
saggio di Rosati contribuisce al riscatto della cultura di destra. Intanto cala
il sipario sull'adattamento della politica all'Enrico IV di
Pirandello - Evola nella veste surreale di papa Gregorio VII e Almirante in
quella dell'imperatore Enrico IV - allegro regista il radical chic Armando
Plebe. In platea la guerra di tutti contro tutti, moderati contro annamo a
menà, neo fascisti contro paleo maghi, cattolici contro massoni,
socializzatori contro liberali, camicie nere contro portatori di frac, badogliani
contro reduci della Rsi.
Calato
il sipario, chiuso il teatrino sincretista/pirandelliano, allestito da
Almirante e trasformato da albergo del libero scambio dai suoi successori, gli
studiosi della destra possono riprendere il loro cammino avendo quale criterio
la conferenza tenuta da Fausto Gianfranceschi nel 1965: L'arma della cultura
nella guerra rivoluzionaria. La guerra rivoluzionaria, che ha issato
ultimamente la bandiera della necrofilia si svolge su un campo di battaglia nel
quale la chiacchiera politichese è inefficace quando non ridicola.
In una
fase segnata dalla scelta di un pallido crisantemo quale simbolo (giusta la
definizione di Gianfranceschi) "dell'alleanza dei comunisti con i
peggiori rappresentanti del decadentismo borghese".
Contro l'alleanza che
corre in direzione del sacro vespasiano e del pio obitorio, i discorsi in
vetero politichese di Alfano & Lupi, della Meloni e di Toti hanno il timbro
del ridicolo prima di quello dell'inutile. Rosati accende un fiammifero nella nuit
des dupes. Una piccola luce, un segnale d'arresto indirizzato alla
chiacchiera squillante nel vuoto politico a destra.
Piero Vassalllo
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