La
storia della seconda fila democristiana, è narrata in pagine ironiche e
taglienti da Alessandra Fiori, giovane scrittrice capace di esprimersi in un
italiano tanto gradevole quanto tagliente/irridente.
Oggetto
del racconto scritto dalla Fiori è la faticosa, stressante e umiliante
fatica, che agitava gli spigolatori dei golosi frammenti di potere,
abbandonati sul terreno appartenente ai cavalli di razza.
Il romanzo narra,
senza sbavature e senza concessioni al moralismo d'accatto, la commedia umana,
ora grottesca ora malinconica, degli arrivisti democristiani, proverbiali cani
da slitta, eccitati e tormentati da ambizioni inversamente proporzionate
alle loro esigue qualità.
Interprete
ed emblema della commedia, in scena nell'agitato sottobosco democristiano, è
l'arrampicatore politico Guido Bucci, la cui figura è disegnata con maestria
nelle eleganti pagine del romanzo Il
cielo dei potenti (edizioni e/o, Roma 2013).
Intorno
a Guido Bucci e insieme con lui, scorrono, quasi in un cinereo caleidoscopio,
le spirituali angustie, le meschinità e le passioni fameliche di una classe di
mediocri aspiranti, tarantolati dall'avarizia, intossicati dalla miscredenza ed estenuati dal continuo
intrallazzo.
Nell'ironico
disegno del sottobosco democristiano si legge il confessato contributo del
padre dell'autrice, Publio Fiori, uno dei rari politici capaci di osservare con
distaccata e signorile ironia la desolante scena del morbo partitocratico
infuriante nella casa dei cattolici.
Lanciata
la sfida a Pio XII e liquidati i princìpi indeclinabili della autentica
tradizione, la politica d'ispirazione cristiana si è rovesciata nel parolaio
democristiano, gongolante, proverbiale squittio dei topi nel pubblico
formaggio.
Acrobati
del pensiero, impegnati nella fusione alchemica di cattolicesimo e
anticattolicesimo, i democristiani hanno disatteso gli indeclinabili obblighi
della morale prima di essere travolti e
ammanettati durante l'inseguimento di numismatici traguardi.
La loro
eredità è la degenerazione della politica in azione intesa all'accumulo di mazzette,
all'umiliazione e all'irrisione delle menti pensanti (si pensi
all'emarginazione di Augusto Del Noce) all'avvilimento degli onesti e infine al
capovolgimento del potere nel marchingegno dell'arricchimento, grottesco inflactus
al servizio di una devastante/scialacquante
sete di ricchezza.
Alessandra Fiori dipinge con pennellate smaglianti e
implacabili le mediocri, spensanti e goffe figure dei protagonisti della
seconda fila, in perpetua, penosa
agitazione durante i quarant'anni segnati dalla fraterna, soggiacente
discordia democristiana.
"Il
congresso nazionale si teneva ogni due anni e al suo interno ne conteneva sempre
almeno un altro. Quello visibile e quello invisibile, la facciata e le
fondamenta. Mentre sul palcoscenico si mostrava un solo e unico partito, saldo
al suo interno, in cui le correnti non esistevano, nei sotterranei, sotto il
palco si svolgeva una lotta fratricida. ... Era quello il vero congresso, era
lì che si decideva il segretario, la linea del partito e i suoi delegati, che
sempre venivano nominati in base alla logica e alla potenza delle varie
correnti. Su quelli si concentrava la guerra".
L'implacabile,
feroce rivalità, che opponeva le correnti asserragliate in immaginari/finti
castelli ideologici, era un vizio tollerabile, al confronto della galoppante
cleptomania democristiana: "Nel partito si spartiva ogni cosa", nel
totale disprezzo degli interessi dei cittadini e degli astratti princìpi della
democrazia.
La
democrazia è miracolosa, grazie all'efficacia dei suoi principii: un Marcel
diventa ogne villan che parteggiando viene.
Narra Alessandra
Fiore: "I consiglieri delle Usl, ad esempio, gestivano tutti gli
appalti, dividendoseli: mense, pulizie e via dicendo. Inoltre potevano
assumere personale medico. Siccome i consiglieri erano nominati dai partiti
senza bisogno di alcuna competenza specifica, si poteva prendere pure il
netturbino, e piazzarcelo. Era una sorta di premio per quelli che portavano più
voti, la coppa Usl del compare".
I voti,
i feticci della democrazia. "I voti come li porti? Nel Lazio con gli
appalti, in Campania con le tangenti e la camorra, in Sicilia con la mafia e
via dicendo".
In
filigrana, nel bel romanzo di Alessandra Fiore si legge il motivo della
delusione del clero cattolico, ad esempio l'amarezza procurata al cardinale
Giuseppe Siri dai baratti e dalle vergognose capitolazioni dei democristiani
davanti alle furenti pretese degli alleati laici in materia di divorzio e di
aborto. E si intravede chiaramente e senza maschere politologiche la palude di
frivolezze e viltà in cui è affondato il partito dei cattolici italiani.
Con
questo racconto, scritto in uno stile limpido e attraente, paragonabile a
quello di Giovannino Guareschi, l'eccellente, giovane autrice conquista il
diritto di figurare degnamente nella storia della letteratura italiana
contemporanea.
Di qui
l'augurio che Alessandra Fiore scriva un nuovo romanzo per raccontare la storia
dei degni successori dei democratici cristiani, destri e liberali e finalmente
affaristi progressivi e senza bandiera.
Nel
capitolo finale del romanzo il profilo ridicolo e umiliante degli eredi della
Dc, numismatici rampanti sotto la fiamma tricolore, fa sperare la
stesura di una nuova storia della implacabile democrazia italiana, al galoppo
verso la comica finale in scena a Monte Carlo e a Monte dei Paschi.
Piero Vassallo
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