La guerra in Iraq contro Saddam Hussein è
andata male. Male per gli americani che, dopo anni di occupazione, non hanno
ottenuto l’amicizia, la collaborazione popolare, un alleato; male per la
sicurezza interna di quel paese, per la pacificazione, per un accordo delle
diverse razze e nazioni stanziate lungo il Tigri e il Eufrate. Stato e governo
iracheno sono instabili, instabile il contraente nei commerci, incerti i patti
per gli sfruttamenti petroliferi. Situazione franosa, domani nebbioso. Non c’è
che dire, gli iracheni stavano meglio quando stavano peggio…
Nessuno mi toglie dal capo che i parecchi
soldati statunitensi deceduti e invalidi, le enormi spese militari sostenute e
non terminate, le brutte figure di torture, ammazzamenti, bombardamenti a
tappeto su civili indomiti, di abbandono del campo senza una vittoria chiara,
siano il disgraziato esito di un complesso di superiorità, d'un pregiudizio
democratico e nondimeno dell’avarizia. Più medito, e più mi convinco che gli USA
abbiano voluto fare le nozze coi fichi secchi. Sbagliati i calcoli, hanno
finito con lo spendere il doppio. Era da sciocchi puntare sull’efficienza degli
armamenti e sulle truppe.
Dopo aver compiuto la demolizione e la
dispersione a suon di proiettili, di bombe, di fuoco e fiamme, i soldati veri
dei reparti guerriglieri andavano sconfitti sul terreno. Ma si sapeva dal
Vietnam che ciò era un pio desiderio. Contro un nemico deciso a non arrendersi,
più agguerrito di quanto non fossero le SS alla caduta del Terzo Reich, anche
in un territorio che offre pochi ripari, l’offensiva di marines prevalentemente mercenari, poiché il loro arruolamento si
doveva sopratutto alla ricerca d’un mestiere ben retribuito, era destinata a
spuntarsi. Nemmeno coi gradassi nerboruti e i fusti da palestra, assai
indisposti a morire per le insegne e la bandiera, si va lontano. L’unica rotta
da seguire restava quella della profusione della gomma da masticare, delle
cioccolate, delle caramelle e dei biglietti di banca distribuiti con larga
oculatezza. Invece di sommergere il nemico riottoso con le derrate, i
passatempi avvincenti e le palanche, ci si è incaponiti a volerlo piegare al
proprio mondo. Il nemico si è rotto, ma non si è piegato, una quantità di pezzi
con rimasti diritti e hanno virtù di ricrescita.
Pensavo così qualche anno fa, prima delle
Primavere arabe nel Nord Africa e in Siria. E non mi sembra d'essere andato
molto distante dal prevedibile, ossia dal conseguente. La fomentata rivoluzione
in Libia, in cui è intervenuta la NATO, ha prodotto il caos sulla nostra ex
Quarta Sponda, a nostro danno e a vantaggio dei fondamentalisti islamici. Dopo
inutili disordini, in Tunisia e in Egitto le cose sono tornate pressappoco come
prima, ma non certo ad incremento del prestigio statunitense. In Siria,
l'appoggio dato ai rivoluzionari ha rafforzato, anche lì, i movimenti estremi
dei guerrieri di Allah, i quali, ben riforniti, hanno creato lo stato
dell'ISIS, che si è esteso nel Nord dell'Iraq sino a minacciare Bagdad. Ciò
grazie all'alleanza con i sunniti irriducibili, specie quelli di Tikrit e di
Falluja, ansiosi di vendicarsi. D'altronde l'aiuto fornito dalla Russia ad
Assad, con andarivieni delle navi di Putin nel porto di Latakia, ha contribuito
non poco a impedire il rovesciamento del regime siriano. Lo stesso intervento
aereo degli USA e compagni non è stato risolutivo.
Delegare l'onere della guerra terrestre agli
altri è un azzardo, e tanto più trattandosi di islamici, la cui passione
principale è gettarsi in avventure belliche, sia combattendosi fra di loro sia
contro l'Occidente, col quale, per vari motivi hanno un lungo conto in sospeso.
Si ricorderà quanto il popolo egiziano tifasse per Hitler e aspettasse Rommel a
dispetto degli inglesi, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Le nefandezze operate dal califfato
dell'ISIS, per altro riferite in un clima di propaganda, non sono in
discussione. Né intendo indugiarmi facendo confronti morali con i misfatti
compiuti da paesi ritenuti civili e in qualche modo cristiani.
Quale la nuova prospettiva intuibile con i
dati di cui dispone l'uomo della strada?
L'America e le potenze belliche ad essa
aggregate si affidano alle incursioni aeree, alle ostilità economiche, al
logoramento del nemico. Per ora, non si azzardano a intervenire sul terreno,
dove hanno già fallito, come accaduto in Afganistan. Di certo, esse possono
permettersi lo statu quo, anche lo
Yemen caduto in mano ad Al-Quaida. Tuttavia da qualche decennio esse ci hanno
soltanto scapitato. E la situazione resta fluida.
Forse
il nodo del prestigio importante si scioglierà in Ucraina, dove la
contrapposizione è seguita a un losco colpo di stato spacciato per insurrezione
popolare e dove l'America si è avventurata a contrastare duramente la Russia.
Lì, per altro, si confrontano due ideologie (potrà la Grecia passare nella
sfera di Mosca?) e il mondialismo si gioca le sue carte per la conquista
psicologica ed economica della terra.
La posta è enorme. I falchi a stelle e
strisce stanno pronti sul trespolo, che potrebbe mutarsi nel ramo da cui
partono gli ordigni più grossi.
Oggi pare che il presidente Hollande abbia
accennato alla possibilità di un conflitto vero e proprio, dall'estensione
imprevedibile. Lo stesso Berlusconi, che qualche volta ritrova il coraggio,
sebbene soltanto verbale, ha accusato Renzi di vantare riforme scarsamente
risolutive della crisi socio-economica e di trascurare i venti di guerra che
spirano in Ucraina.
Piero Nicola
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